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LA SICILIA

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L'uomo e la lava. A Trecastagni c'è una originale "fucina" d'arte

Carlo Attanasio

20 apr 1984

Antonino Torrisi nel suo laboratorio dà forma al magma. E' una lotta condotta con strepitio di sega elettrica, di trapano e scalpello, senza fumo e vapore di fusione ma con nebbia di polvere sottilissima.

La pietra di lava è materia di violenza, che Antonino Torrisi subisce o le ritorce contro nel suo laboratorio, a Trecastagni. Fucina di un dio Vulcano verosimilmente laicizzato, "imborghesito" nell'apparenza di un uomo qualsiasi, ma meno che mai nell'inquietudine; e senza più vampe e fragore di maglio, attorno, ma con strepitio di sega elettrica e di trapano e clangore di scalpello, senza fumo e vapore di fusione, ma con nebbia di polvere finissima.

Là dentro, Torrisi cede all'ipnotismo da rettile del magma che scorre-striscia, nel piccolo coccodrillo: scultura pochissima scolpita di animale a sangue freddo, perchè un rivolo effusivo raffreddandosi si è solidificato in quel corpo sinuoso, poi soltanto toccato appena di utensili dove occorreva precisare qualche dettaglio: "Mi ricordo che quando hanno tirato fuori questo pezzo ero con mio figlio. Gli ho deto: lo vedi? Quello è già un coccodrillo".

Così, anche, cede alla furia dell'esplosione, nella testa urlante che ha cavato da una "bomba" eruttiva scrostando via poche scaglie; e attenzione a non confondere: Michelangelo toglieva l'inerte per liberarne- finchè poteva- la figura racchiusa dal blocco di marmo; viceversa lui ha levato a quel volto la mascheratura anodina del sovrappiù per imprigionarlo maggiormente nella sua tensione originaria, di questa rendendosi braccio, strumento.

Ma in alcune cornici di camino, nelle lapidi, in alcuni particolari dei monoliti totem, nei crocifissi, fa violenza. Si ribella alle giaciture e scava, incide profondo, taglia, leviga, lustra, tramuta. Relega l'interno a rimanere completamente tale, anima oppressa di sostanza cristallina e di bolle, a essere nulla più che un supporto della forma. E a volte gli impone (sovrappone) umilianti manierismi da negozietto di souvenir: superfici trattate ad imitare corteccia d'albero, grossi rosari "per non mettere il solito capezzale nella stanza da letto"; in generale paccottiglia che - nata direttamente dal ventre della Terra, ossia del ceppo più nobile e adesso decaduta - non ha la vitalità plebea e l'egotismo sfottente e a tratti luciferino del kitsch, quell'esibizionismo persino simpatico dizizzania estetica seminata frammezzo al buon gusto ( e alle fisime del buon gusto) e ben contenta di starci a dar fastidio o scandalo: insomma la bella bruttezza delle gondoline di bachelite, dei posacenere con la Tour Eiffel e la Mole Antonelliana, dei globi di vetro col panorama dentro che si capovolgono per far cascare la neve, se non peggio-meglio.

Al contrario, niente insolenze, dove comanda Torrisi. Sono mansuete, o meglio ammansite, le sue vittime, sono patrizi che ha ridotto a condizione servile, e che pure non rinunciano ad un dignitoso e patetico aplomb. Potrebbe usare creta, gesso, legno, arenaria tenera, materia facile da persuadere a quei risultati formali. Invece no, non ci sarebbe succo, lui vi costringe, vi forza la pietra di lava, non so quanto per mortificarla e quanto per dar prova di esserne capace, e non so quanto consapevolmente. La piega a passare sotto le forche caudine, dominata, da sconfitta, se non altro quanto essa lo dominò e dominerà da vincitrice, così impara. Tutt'al più, raramente usa certa pietra di Siracusa, ma da controfigura, per via che è quasi altrettanto ostinata.

"Il legno, il marmo, lo so, ci ho pensato. Ma la mia passione è questa, forse gli altri materiali li possono trattare tutti, mentre qua solo io ci posso cummattiri (combattere,ndr). Per esempio questo totem è di basalto lavico del tempo del diluvio: lei non ha idea di quanto è duro".

Ecco che se c'è amore nelle sue opere, non è dei più limpidi, o altrimenti è strano amore di grida e botte e poi rassegnazione pronta a diventare rivolta. Caso mai odio-amore, forse abbraccio predatorio e stremante. Catena di passione, al limite, ma i suoi anelli sono vittorie e sconfitte, nessuna decisiva, le une a generare le altre secondo uno schema di faida, o di vendette o tracotanza da tradegedia eschilea, cominciata (la catena, la faida, la tragedia...) cinquantadue anni fa. Era decenne, Antonino Torrisi.

"Lavoravo in una cava, ci andavo con mio cognato. Ma così, da scalpellino, a fare i blocchi per le banchine, il basolato. Quale scultura! Poi, da grande, ho preso una cava per conto mio, sempre qua a Trecastagni, e ci abbiamo lavorato per molto tempo. Poi, ancora, ho comprato un pezzo di terreno per farci un'altra cava, ma le cose sono andate male. Allora ho aperto un laboratorio per lavorare anche il marmo. Niente: male anche quello. La scultura è venuta dopo, ho cominciato a fare qualcosa nel '70, senza lasciare perdere il resto, che è il lavoro vero e proprio. Eppure, qualche cosa ce l'avevo anche prima. Nella cava, come posso dire? "uscivo" rispetto agli altri. Facevo qualche pezzo particolare per il cimitero. Anzi, a dodici tredici anni, ho fatto una scultura che rappresentava il porto di Catania: chissà dov'è, non l'ho più trovata."

Mezzo secolo di belligeranza martellante (anche alla lettera). Duellanti oramai antichi, la pietra di lava e Torrisi, e perciò di sicuro esperti e convinti. E il duello vuole applicazione vagamente mistica: mentre avviene è l'unico interesse, siccome il rischio è totale. E vuole vigilanza sempre massima: distrarsi è aprire la guardia al colpo probabilmente fatale. E vuole rigore scamo: il colpo che indulgendo all'ornato non sia essenziale, perde velocità ed è più agevolmente parabile, inefficace, inutile. E vuole il coraggio o la preditorietà o l'incoscenza di mettere in palio se stessi e, momento per momento, di non tirarsi indietro. E vuole vicolo stretto, pressappoco identità, fra i due avversari: stanno assieme, a fare l'uguale cosa, con simile ansia, per simile intenzione; specie di gemelli. E non vuole, necessariamente, la presenza attiva dell'altro: ci si può misurare anche contro di sè, contro la propria abilità, e avere nell'altro semplicemente una barriera di rimbalzo o uno specchio, come il tennista che si alleni con il muro.

Cioè gli elementi ci sono tutti, al di là del compiacimento "acculturato": il duello può ricalcare pari pari la dialettica alla maniera di Hegel (o magari di Aldo Moro). Può essere un confluire (o convergere parallelo) di due entità opposte in una terza che è diversa da entrambe e superiore. Ora, proprio sintesi, che contiene tesi e antitesi e le suoera, sembra la scultura di Torrisi. Esprimendo l'esito - non importa ogni volta quale - dello scontro, ricorda e contiene appunto lo scontro, azione e reazione e ancora, botta e risposta e ancora, battute dialettiche. E al tempo stesso lo supera, interpretando e vivendo il racconto di uno scontro assai più vasto, e più che storico: esistenziale. La pietra di lava, il frammento, è il campione della montagna che copre e distrugge i manufatti degl'intrusi sui suoi fianchi. Torrisi è il campione della gente che sgretola la lava e ne fa materiale per le costruzioni o ricostruzioni con cui copre, e distrugge, la montagna.

Lotta millenaria, aspra, mai risolta; anzi sempre attuale e severa, e per questo non riducibile alla staticità dell'iconografia o dall'oleografia, tanto meno alla sguaiataggine del kitsch ma tuttora pulsante seppur discreta. Chiaramente è folklore fasullo, da depliant bassoturistico, che gli etnei campino ogni loro giorno con il terrore e il pungolo che domani l'Etna li uccida, ma non se ne scordano mai del tutto.

Solo che qui, se vince Davide (qual'è il vero gigante?) non è che i filistei deporrano le armi, oppure gli israeliti se vince Golia. Torrisi e la pietra di lava sono sì campioni e rappresentanti e simboli, ma non hanno poteri delegati, il loro scontro è ininfluente sullo scontro generale, lo testimonia ma non l'orienta. E' accademico negli effetti, praticamente vano, metafisico rispetto alla vita quotidiana; in questo senso lontano dalla realtà, che non riesce a trascendere. La sublima, con il tanto di inetto e il tanto di sovrannaturale che sublimare significa. Se è veritiero quanto banale il motto che campeggia sotto quel famoso leone cinematografico, ars gratia artis, non è solamente artigianato - essendo sopra le parti escluso dalle parti - il lavoro di Torrisi.

"Però guardi che ci vuole anche il mestiere. Se uno non ha fatto, come me, anni e anni di mazzola e scalpello, anche solo per squadrare i blocchi, a questa pietra non si può nemmeno avvicinare, Ci vuole il mestiere e poi ci vuole qualcos'altro che non mi ha insegnato nessuno. Non lo so cos'è: fantasia, un'occhio particolare. Io avevo questa specie di desiderio dentro."

E nel caso ce ne  fosse  bisogno,  l'applicazione vagamente mistica, la vigilanza sempre massima, il rigore scarno, il coraggio o la proditorietà  o l'incoscienza, il legame con la materia e il possibile straniamento da essa, sono  tutti assieme un  umore emotivo che tracima  dal  buon  artigiano,  si riversa dentro l’artista. Il quale, nella fattispecie,             per ottenere questo titolo si dà da fare poco o nulla: è troppo impegnato a duellare, e troppo  agguerrito è l'avversario per concedergli vantaggio occupandosi d'altro. Coi loro gesti, nel loro mondo,  loro litigano. Senonché...

Quella caraffa su uno scaffale, in tutta evidenza. Normalissima benché lavica caraffa, di manico e recipiente. Ma al posto del beccuccio (vezzeggiativo fuori luogo) troneggia eretto un fallo, inoltre di dimensioni non dico spropositate però indiscutibilmente non esigue. Lì, non ha vinto la pietra di lava e perso Torrisi, infatti la struttura della materia è stata stravolta. Non ha vinto Torrisi e perso  la  lava, infatti l'oggetto è ben protagonista, tutt'altro  che remissivo, e ci mancherebbe, dato l'argomento. Né può darsi che una tantum non ci sia stata aggressività. C'è stata e c'è, eccome: non dimentichiamo l'argomento. Non si scappa: a trattarsi ancora di un duello -raccontato- sarebbe finito in patta, e pareggio quanto meno sull'uno a uno, una stoccata per parte, entrambi infilzati, perché quei due non sono tipi che si fermino prima. Ma lì, nessuno dei due è ferito (sempre l'esuberanza dell'argomento), figurarsi se si mettevano quieti.

Per colpire, altroché, colpiscono, però non si colpiscono a vicenda . Vuoi vedere che eccezionalmente combattono fianco a fianco? E poi la collocazione, la caraffa piazzata in bella mostra, appena entri non puoi non notarla. Il sospetto: che Torrisi e la pietra di lava si siano alleati, di quando In quando si alleino, contro chi s'intromette. Fra i due litiganti, nell'occasione, il terzo le prende.  La  caraffa  è  propriamente  volgare: per il volgo: per irridere quanti capitano a disturbare la lotta, che è espressione di  una lotta  generale,  ma  è innanzitutto,  fra  Torrisi e la pietra di lava, una questione privata, un'intimità ostile e affettuosa (in ossimoro). Come lo è - e si  torna  dal  micro al  macro cosmo,  dal simbolo  alla  realtà  - fra gli etnei e l'Etna: gli uni temono le eruzioni, ma non vorrebbero che qualcuno turasse i crateri e trasformasse definitivamente l'Etna in un monte innocuo;    l'Etna vorrebbe, suppongo, che gli togliessero i “parassiti” di dosso, e sarà perché a loro non venga in mente di andarsene che non è infido quanto, poniamo,  il Vesuvio.

Sono dispettosi amici, cari nemici, Torrisi e la pietra di lava, ovvero gli etnei e I' Etna. Feroci dentro la loro contesa, ma non fino al punto  di concluderla, vogliono continuarla non risolverla; vincere o perdere le battaglie, non il conflitto. Non per fatalismo, ma per un piacere preciso. E gelosi e solidali,  se l'aggressione  viene da altri, se uno dei due è minacciato. Allora è spiegabile che Torrisi abbia inserito, in una cornice di camino, canalette di un vecchio palmento.

“Da queste parti ce n'è un sacco di questi elementi in pietra lavica, fatti come si deve, come li facevano a quei tempi. Ma ormai li stanno eliminando per rimodernare le case, non servono più. Vanno scomparendo.  E  quando sento che ne tolgono uno, se posso, vado a recuperare qualcosa. Poi metto i pezzi in qualche composizione, così come sono, almeno non si perdono completamente”.

A buon rendere. C'è da scommettere che se una colata sommergesse Trecastagni, risparmierebbe il laboratorio di Torrisi, e gli lascerebbe sgombro lo spazio davanti alla porta, unica apertura della fucina verso l'esterno. ovviamente rivolta all'Etna. Come uno sguardo d'intesa:  il dio Vulcano e il vulcano, sempreche non siano la  medesima persona, sono d'accordo per giocare alla guerra da titani, eventualmente sopra la testa dei mortali.

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